Novità in tema di abusi edilizi


E’ arrivata l’attesa Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. 22 marzo 2019 numero 8230) che fa finalmente chiarezza sul delicatissimo tema della vendita degli immobili abusivi.

Il supremo organo giurisdizionale italiano pone fine al contrasto interpretativo in ambito giurisprudenziale e delinea i rispettivi profili di responsabilità delle parti.

La questione trae origine dall’obbligo introdotto con la legge 47 del 28 febbraio 1985, e ribadito dal D.P.R. 6 giugno 2001 numero 380, di indicare negli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali immobiliari relativi a fabbricati e loro porzioni (ad esempio appartamento in condominio) i relativi titoli edilizi.

Ciò a pena di nullità dell’atto. Per i fabbricati la cui costruzione sia iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967 è possibile sostituire l’indicazione dei titoli edilizi con una dichiarazione (sostitutiva di atto notorio) del venditore che attesti tale circostanza.

L’obbligo riguarda i contratti a titolo oneroso (ad esempio la vendita, la permuta, la divisione, la transazione, il conferimento in società, la divisione) o gratuito (donazione) aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali (tra cui il diritto di superficie e quelli di usufrutto, uso ed abitazione) su edifici.

La norma era volta a reprimere il fenomeno dell’abusivismo edilizio, escludendo la categoria degli immobili abusivi dal mercato immobiliare.

Dall’obbligo sono invece esclusi i trasferimenti mortis causa a favore di eredi e legatari (occasionati dalla successione del proprietario) e gli atti costitutivi, modificativi, estintivi di diritti reali di garanzia (ovvero la concessione di ipoteche su immobili a garanzia dei mutui) o di servitù.

In caso di mancata indicazione in atto dei titoli edilizi, lo stesso sebbene nullo, può essere convalidato con successivo rogito che contenga ad opera di una sola delle parti le menzioni urbanistiche omesse.

Di solito a ciò provvede l’acquirente prima di rivendere quanto acquistato, effettuando la sanatoria del proprio titolo d’acquisto (atto di provenienza).

L’interpretazione della norma, dati gli enormi interessi in gioco, non è stata affatto pacifica ed ha dato luogo ad una disputa in dottrina e giurisprudenza, oggi composta dalla pronuncia in commento.

In passato infatti si erano contrapposti sull’argomento due diversi orientamenti:

  1. secondo la tesi tradizionale (denominata teoria della nullità formale) l’atto notarile sarebbe valido purché contenga la menzione, ad opera della parte venditrice, dei titoli urbanistici che hanno legittimato la realizzazione dell’immobile; ciò anche quando il venditore abbia citato provvedimenti edilizi erronei o addirittura inesistenti.

Secondo i critici questa ricostruzione tradirebbe la ratio della legge ponendo un freno del tutto irrisorio agli abusi edilizi, in quanto gli stessi possono essere superati citando titoli inesistenti od errati. Al riguardo, conformemente a tale indirizzo, il notaio rogante non avrebbe alcun obbligo di effettuare controlli circa la regolarità edilizia dell’immobile, dovendosi solo preoccupare di non ricevere atti privi di menzioni urbanistiche.

  1. altra tesi più recente ritiene che la validità o nullità degli atti notarili non dipenda solo dalla presenza o mancanza delle menzioni urbanistiche, ma dalla loro veridicità; conformemente a questo orientamento non sarebbe nullo solo l’atto privo delle menzioni urbanistiche, ma anche quello che faccia riferimento a titoli erronei o inesistenti (tesi della nullità sostanziale).

L’affermarsi di tale indirizzo aveva reso necessario per gli addetti ai lavori distinguere in merito alle diverse tipologie di abusi:

-si riteneva costituisse abuso primario e fosse incommerciabile non solo l’immobile totalmente abusivo (ovvero quello per il quale non fosse stato rilasciato alcun provvedimento abilitativo: Licenza, Concessione Edilizia o Permesso di costruire), ma anche quello totalmente difforme dal titolo autorizzato (quando sono stati realizzati uno o più piani di quelli assentiti) o che presentasse gravi irregolarità (ad esempio una finestra o una veranda non previste nel progetto originario);

-veniva ritenuto abuso secondario o marginale la lieve irregolarità (frazionamenti di unità, mutamenti di destinazione d’uso funzionali, semplici modifiche prospettiche, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo quando trattasi di interventi che non portino, per definizione, ad organismi edilizi diversi, neppure in parte, da quelli preesistenti).

Per la dottrina che si è occupata dell’argomento l’abuso minore non impedirebbe la circolazione dell’immobile, ma legittima l’acquirente a chiedere al venditore il risarcimento dei danni subiti per l’eliminazione o la regolarizzazione della difformità o per la diminuzione di valore dell’immobile.

Conformemente si riteneva possibile prevedere pattiziamente che l’acquirente potesse sobbarcarsi i costi di regolarizzazione dell’immobile.

Una isolata decisione giurisprudenziale aveva censurato la condotta del notaio rogante per omissione dei controlli sulla regolarità edilizia dell’immobile oggetto dell’atto.

Tale sentenza è stata criticata da coloro che obiettavano come non era possibile per il notaio verificare il rispetto dei tecnicismi e delle prescrizioni urbanistiche, compito che potrebbe essere espletato soltanto da un tecnico professionista (geometra o perito).

Questo indirizzo giurisprudenziale (tesi della nullità sostanziale) era stato criticato perché in concreto era ed è veramente difficile, data la complessità delle norme statali, regionali e comunali in materia edilizia distinguere tra totale difformità o grave o lieve irregolarità dell’opera.

Ne consegue che aderire a questo orientamento, secondo i fautori della tesi avversa, metterebbe a repentaglio la certezza dei traffici giuridici in quanto crescerebbe a dismisura il rischio che gli atti traslativi immobiliari possano essere dichiarati nulli, con danno irreparabile per coloro che hanno investito i propri risparmi nel loro acquisto, il cui valore economico risulterà gravemente compromesso.

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno provveduto a comporre il contrasto ed hanno assunto una posizione intermedia tra le due opposte tesi.

La Suprema Corte ha in primo luogo chiarito che gli atti notarili sono validi se recano la corretta e puntuale indicazione dei titoli edilizi che hanno legittimato la realizzazione del fabbricato.

Sono al contrario nulli i rogiti che contengano l’indicazione di titoli erronei o inesistenti o relativi ad altri immobili (tesi della nullità testuale).

L’atto viziato perché privo delle menzioni urbanistiche, può, come in passato essere convalidato purché rechi la precisa indicazione dei provvedimenti abilitativi; questa sanatoria, alla luce della sentenza in commento, non potrà essere evidentemente effettuata menzionando titoli edilizi erronei o falsi.

Secondo le Sezioni Unite, infatti, il notaio incaricato della stipula non deve controllare che la realizzazione del fabbricato sia conforme ai progetti presentati, ma limitarsi a riportare in atto i titoli edilizi (permessi, licenze e concessioni) corretti.

E’ stata inoltre ribadita la nullità degli atti aventi ad oggetto immobili completamente abusivi (privi di qualsiasi titolo edilizio) o totalmente difformi rispetto ai progetti autorizzati.

Per quel che concerne gli atti traslativi relativi a fabbricati con parziali o lievi difformità è stata invece affermata la loro regolarità formale.

Sotto il profilo sostanziale va precisato che il venditore potrebbe essere tenuto a risarcire gli eventuali danni subiti dall’acquirente, che ha la possibilità di agire in giudizio per ottenere una riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto per inadempimento per mancanza delle qualità promesse della cosa venduta oppure per consegna di cosa diversa da quella venduta (così detto “aliud pro alio”).

Ciò riguarda i rapporti (interni e) “privatistici” tra acquirente e venditore nella circolazione di immobili con abusi edilizi.

L’acquirente può essere chiamato dalla Pubblica Amministrazione (Comune) a regolarizzare l’immobile di cui è divenuto proprietario, al pagamento delle relative sanzioni e nei casi più gravi a demolirlo (nell’ipotesi di difformità essenziale) o ripristinare lo status quo precedente.

Questo aspetto di natura “pubblicistica” coinvolge i rapporti (esterni) tra acquirente e Pubblica Amministrazione ed è quello che assume maggiore rilevanza nel contrasto all’abusivismo edilizio, in quanto attiene alla fase dell’eliminazione o della regolarizzazione dell’abuso.

In definitiva la Corte di Cassazione ha distinto tra circolazione giuridica dell’immobile (che può avvenire legittimamente a condizione che la realizzazione dell’immobile sia stata assentita o non sia totalmente difforme rispetto al titolo originario) e circolazione economica.

Quest’ultima in presenza di abusi (gravi o lievi irregolarità) è soggetta alle sanzioni previste dall’ordinamento ed espone l’acquirente, divenutone proprietario a potenziali danni. Per il ristoro dei medesimi quest’ultimo deve agire verso colui che glieli ha procurati (dante causa).

Le Sezioni Unite, nel decidere sul ricorso presentato, hanno espresso questo principio di diritto: “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.”

Il consiglio che mi permetto sempre di dare a chiunque voglia acquistare casa è quello di far verificare, da un tecnico di sua fiducia, la regolarità edilizia dell’immobile prima di procedere all’acquisto.

Il tecnico, per espletare detto controllo, effettuerà l’accesso agli atti presso il Comune ove si trova il bene, in modo da acquisire il progetto originario ed ogni altra successiva pratica edilizia relativa alla costruzione; questo per fare il confronto tra quanto autorizzato e la situazione effettiva dell’immobile.

In questo può essere d’aiuto la planimetria catastale che a partire dall’introduzione del Decreto Legge 78/2010 viene solitamente allegata all’atto: l’acquirente può verificarne la rispondenza allo stato di fatto dell’immobile, mentre il tecnico da lui incaricato verificherà che la planimetria sia conforme, non solo allo stato dell’immobile, ma anche ai titoli edilizi rilasciati dal Comune.

Eventuali irregolarità potranno essere sanate (a spese del venditore) prima della stipula dell’atto.

Come diceva San Giovanni Bosco prevenire è meglio che curare. ????.


Yann Christophe Lettera
Notaio in Loano

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